«Spiacemi anche la sua assenza perché non possa godere la virtù della signora Maria Landini, di cui ammirerebbe una gran maniera di cantare, ma la perfezione nei recitativi, in cui non ha pari».
Questo il lodevole giudizio espresso dal compositore Francesco Gasparini che, in una lettera indirizzata nel 1711 alla principessa Maria Livia Spinola Borghese, assente alla prima del suo Costantino, esprimeva il suo apprezzamento per le doti attoriali e canore della Landini. In quegli anni la virtuosa era impegnata in lunghe tournée in numerosi teatri del nord Italia e, almeno fino al 1708, si era fregiata del titolo poco più che onorifico di virtuosa di Ferdinando Gonzaga duca di Mantova. Era entrata al servizio del duca con un pedigree di tutto rispetto: dapprima aveva esordito a Roma presso la corte di Cristina di Svezia, in un ambiente quanto mai ricco di stimoli culturali e soprattutto musicali, e in seguito era stata assunta dalla famiglia Braunschweig-Lüneburg ad Hannover. È del 1713 l’assunzione alla corte imperiale di Vienna, presso cui metterà a frutto le sue doti interpretative nelle numerose occasioni spettacolari richieste dal nuovo ambiente frequentato e qui si spegnerà nel 1722.
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“Sig.ra Angiola, servitore a V.S., è possibile che io non vi abbia una volta a sentir cantare e venire in casa […] possanza di Dio, ho mandato et ho bussato più volte la porta e mai mi avete risposto […]” e mille altre cose li disse, e li buttò poi un mazzetto di fiori […]
È il 20 luglio 1630, festa di Santa Margherita, quando il rifiuto della cantante Angela Pontini di esibirsi per alcuni gentiluomini romani e fiorentini scatena reazioni piuttosto vivaci. La cantante studia a Roma grazie alla protezione del monsignore fiorentino Lorenzo Corsi. In assenza di monsignore, Angela è affidata alle cure del maestro di casa Cesare Vallerani, con la disposizione che non debba essere ascoltata da nessuno. Il carteggio di Vallerani – che arriva a celare anche l’identità della cantante dietro la cifra 100 (o Cento) – a margine di avvenimenti e dettagli curiosi, ci svela così qualche aspetto della storia di Angela Pontini, immersa in un’interessante rete di contatti, protezioni, pressioni e resistenze.
[…] Quando sentii questo a me parve gran cosa, sapendo io quanta affetione porti Cento e tutti a V. S. Ill.ma […] e per essersi Cento e madre confidati con me di tutti i loro affari e di tutti i parlamenti stato fattoli, e quante volte li è stato bussato la porta, e le offerte fatteli solo per sentirla cantare […] e offerte poi di scudi 500 per sentire cantare e dormire una notte e molte altre cose, e finalmente si giura e promette a V.S.Ill.ma che in questo non si permette a nessuno, e piuttosto si metterebbero a morire di fame che mancare e fare simili sgarbi a V. S. Ill.ma […]
Non sappiamo se davvero Angela sia stata ascoltata. Il 20 luglio, però, non raccolse il bouquet.
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La zitella ch’è qua a studiare ha lasciati i difetti, che […] erano molti, la sua maestra li metteva insino delli stecchi in bocca per fargliela aprire e poi cantava grandemente col naso, non intuonava punto[…]; questi difetti si sono totalmente lasciati ed adesso s’attende a imparare a cantar bene.
Così l’ambasciatore mediceo a Roma, Carlo Rinuccini, descrive al marchese Filippo Niccolini a Firenze, gli esiti delle prime lezioni di canto che la giovane fiorentina Angiola Soci riceve a Roma.
Protetta dal cardinale Giovan Carlo de’ Medici e nata a Firenze nel 1645, la giovane «musica» Angiola Soci viene mandata a Roma nell’estate nel 1662 per perfezionarsi con la compositrice Francesca Campana che la ospita in casa propria. Diventa provetta nel canto ma soprattutto nel suonare l’arpa, tanto da eccellere «quasi quanto Giovan Carlo» – scrive ancora Rinuccini. Il riferimento è a Giovan Carlo dell’Arpa, uno dei più rinomati virtuosi di questo strumento e marito di Francesca Campana. Alla morte di Giovan Carlo de’ Medici, nel 1663, Angiola Soci passa sotto la protezione della granduchessa Vittoria della Rovere, alla quale piaceva particolarmente ascoltare Angiola esibirsi all’arpa. Approfittando del soggiorno a Parigi del compositore Giovan Carlo dell’Arpa, Vittoria chiede più volte al suo segretario Alessandro Cerchi di contattare il compositore, pregandolo «di consegnarle qualche numero delle più belle sonate intavolate che si ritrovano, avvertendo che le desidera per quella giovinetta chiamata Angiola».
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